lunedì 12 dicembre 2011

Voci dall'Oltreverso

Ci sono ancora. Ho il blocco dello scrittore, e una possibile artrosi alle mani, ma ci sono. Non disperate.

venerdì 26 agosto 2011

In una gelida palude

Ormai è chiaro come funziona, come funziono. Le fredde acque salgono, o forse sono io a scendere dentro loro, lentamente, come una fine e interminabile tortura. Le sento mordere, scavare nella carne, insediarsi nelle ossa, farci casa accogliente di dolore. Ogni tanto un fugace sorriso pare una zolla di terra ove i piedi poggiano per poco, giusto il tempo di illudersi che l'oblio non ha avuto la nostra essenza. Si frange un'altra zolla, e la discesa riprende, costante, invariata, e inesorabile. Tendere un braccio ormai costa troppa fatica, e nell'attesa che una zolla solida e non troppo tardiva fermi tutto ciò, non resta che abbassare lo sguardo per vedere il proprio corpo calare in acque scure.

domenica 21 agosto 2011

Costi

Costa sapere che non passerà. Costa percepire la mano della Signora che ti cinge. Costa avere questa morsa attraverso lo sterno. Costa sapere che non è solo uno stato fisico. Costa notare sguardi di pena. Costa soppesare gli sguardi di dubbio. Costa perdersi intere giornate con gli amici. Costa perdersi in certi sguardi. Costa distogliere lo sguardo. Costa il pegno pagato per la pace. Costa l'infelicità negli altri. Costa due monete il traghetto.

mercoledì 10 agosto 2011

Refresh happends

Casseruola è da un botto che non scrivo più qui! Bah, buttiamoci un pensiero, un sassolito nello stagno salmastro.

C'è un numero limitato di cariche nell'animo di una persona, come pallottole in una pistola. Indipendentemente dal numero di colpi che possediamo, v'è un diverso tempo di ricarica.
...mi sento un avancarica...

mercoledì 6 luglio 2011

Légàmi



Due accenti, una parola. Semplice licenza poetica, fondamentalmente un bel gioco di linguistica.
Lei stuzzica quel che c'era già, ed ecco che semplicemente fluisce all'esterno come risorgiva, gelida e dal profondo.
Vi è oscuro rapporto tra i "legàmi" e l'imperativo "légami", un sottile velo che lascia trasparire più di una simiglianza da ceppo lessicale.
Vi sono legami a loro modo indissolubili, come corde in seta che non feriscono ma impediscono la fuga, a cui i singoli si sottopongono con una sorta di estremo masochismo, una chiara richiesta di costrizione, una necessità impellente di sapere che siamo parte o proprietà di qualcuno, e che questo qualcuno ci detiene per motivi a noi ignoti, al più sperando che sia per una sorta di tenerezza o pietà degna di un cucciolo.
Ed è fondamentalmente questo quel che siamo, quando ci apriamo ad altre persone, esseri indifesi che sorriderebbero ricevendo sia un premio sia una punizione, con un tal timore di perdere ancora da patire con ghigno amaro in volto, emorragie interne invisibili ma di cui siamo ben consci.
Dolce è l'amnio dell'abitudine, quando la solitudine da condizione diventa routine, tutto diventa un brusio quasi impercettibile, facilmente soffocabile finchè uno scossone non spezza il delicato equilibrio, e nuove corde appaiono ai nostri polsi, stavolta dure e taglienti.
E ancora una volta, legato, non posso sfuggirvi.

lunedì 4 luglio 2011

Onyria n°1

Mentre cremisi luce filtrava dalle ricche tende in raso, giacevo inerte sul nudo giaciglio di ferro battuto, lasciando che la mente vagasse senza meta.
Fu fase alfa, così la chiamano, e questo giunse alla mia vista.

Dio:-Eccoci qua infine.
Io: -Orcodio...cioè, nel senso, non credo ti offenderai ora dopo che te ne ho dette per tutta la vita.
-Comodo comodo, sono qui per altre questioni.
-E cosa vorresti da me dunque?
-Poniamo che dipendesse ora da te la mia esistenza, e poniamo che io ti abbia concesso il potere di terminarla.
-Sei un po' vago, necessito di informazioni su certe cose, alcune curiosità, altre meno: che accadrebbe all'universo? che tipo di dio sei? e perchè tutto ciò, questo male eterno?
-Beh l'universo si annullerebbe, con tutto ciò che contiene, sarebbe solo nulla. Io sono e basta, hai poco di preoccuparti di questo, come può comprendere una formica un viaggio spaziale? In realtà ho solo dato l'innesco a tutto, e poi vi siete dati da fare voi sul male.
-Quindi una sorta di orologiaio eh? certo potevi farci un eden piuttosto che un mondo che andasse avanti così.
-Anche per me ci sono delle regole, senza le quali una creazione non può funzionare.
-Ciò non vuol dire che qualcuno di superiore ti ha dato delle regole, indi non sei tu l'entità prima?
-Può essere, ma non lo posso conoscere, quindi le supposizioni su ciò che non so non hanno senso, non credi? Diciamo che per quanto so sono il primo, e quindi senza me niente è.
-Valutiamo assieme, nella supposizione che tu sia primo e unico, cosa che dubito un po' ma prendo per buona, se continui a esistere miliardi di persone continueranno a muoversi come formiche godendo pochi attimi di felicità circondati da un mare di dolore, senza te invece sarebbe nulla, quindi un equilibrio assoluto di bene e male.
-Ma che vantaggio ci sarebbe per te nell'equilibrio assoluto?
-Vuoi mettere un singolo istante di soddisfazione?

mercoledì 29 giugno 2011

Into the Storm

http://www.youtube.com/watch?v=f1-7fo5TTh4

Ogniqualvolta Eolo si scatena, e il cielo promette il furore di Zeus, come richiamato da ancestrali dei esco dal mio cubicolo, e con lentezza rivolto verso il vento assaporo gli odori che esso mi porta: pioggia, erba, ira.
L'aria è carica di elettricità, lo si sente a pelle, e promette furore.
Bramo incessantemente esser sotto questa pioggia, l'attesa è pressante mentre so che prima di 3 ore non potrò starvi come vorrei, in auto con del sacrosanto death metal a farmi scaricare tutto, con adrenalina ai vertici.

Un pensiero, di sfuggita: mio dio quanto vorrei far sesso durante una tempesta.

venerdì 24 giugno 2011

Hurt



Mi ferisco oggi per sentire se sono vivo
Per assaporare la linfa che scorre via
Stiracchiando il tempo in attimi senza fine
Scanditi da una liquida clessidra.
Il dolore muta in torpore
scuro è ciò che cola
sbiancando la pelle attorno a sè
e il respiro cede al nulla, silente.
Ove lacrime più non esistono,
e sensi si confondono.

lunedì 13 giugno 2011

Neo-animalità



È la brama che ci controlla, quell'impulso irrefrenabile di possesso, di mantenimento, tipico dei bambini o degli animali.
La questione territoriale è insita nel nostro Ego, e con i mezzi che son dati alla nostra specie interagiamo con gli altri mostrando ove noi poniamo dei confini, dove la maschera di raziocinio cederebbe per far posto a quella bestia che tanto ci spaventa.
Miserrimi appariamo in questo grottesco spettacolo, grandi portatori di civiltà che mingono ancora attorno a sè per tener lontani gli usurpatori.
Eppur non manca la possibilità di staccarsi da ciò, di imporre un veto mentale sul proprio organismo per distanziarsi da gorilla che si battono i pugni sul petto, per apparire ed essere l'evoluzione di questa innaturale creatura che da tempo ha abbandonato il sacrosanto darwinismo, per cause giuste o sbagliate che siano.
Una sorta di "darwinismo mentale" dunque, che caccia e bandisce ogni squallido e inutile comportamento non consono e conserva ove non si può intervenire una consapevole animalità atta a godersi le bellezze del bestiale senza cadere in stupiderie da umani.
Ma si è ancora umani, allora?

domenica 5 giugno 2011

Coyote

Sembra così diverso esser in bilico su un crinale dalla caduta, dalla prima parte si può scegliere se gettarsi o meno, cosa che sicuramente non si può fare nel secondo caso.
Ma d'altra parte, se nell'atto di cadere si comprende che non è quella la giusta via, si cerca un appiglio, un estremo e praticamente inutile tentativo di resistere al dirupo sotto di sè.
È quindi solo una questione di tempistiche, di difficoltà, e di quanto si è disposti a sacrificare per uscirne vivi.
C'è gente che si lamenterebbe del dolore anche qui, onestamente credo che attuare comportamenti da coyote non sia una cosa così pessima, o forse lo è ma non vedo alternative, e quindi la soluzione presto ha trovato me.
Vedremo presto se avrò denti abbastanza affilati per staccarmi una gamba prima di impattare col suolo.

domenica 29 maggio 2011

Farewell



Sapevamo sarebbe accaduto, non era un se ma un quando, poichè non aspettarsi nulla è la miglior politica del creato. Che non sia mai che io vada via sputando sangue, perchè il mio cuore era ormai perso, e anche se ha battuto qualche colpo, sta bene nel suo stato di quiete.
Ho guadagnato ua persona cara comunque, non come volevo io, ma una dolce spina nella mia corona che mi ricorda che perlomeno qualcosa c'è stato, qualcosa che aspettavo da tanto, tanto tempo.
È tempo di andare, di abbandonare con la mente Vercelli, arida terra di delusione, per esplorare altri luoghi dove forse ci sarà qualcosa anche per me.

Te l'ho detto in fondo, "rimarrò se non mi darai motivo di andar via".
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Pain of salvation - Beyond the pale

And SEX was always there from when I was only eight years - tempting me leave thirsty

Sweat, skin, a PULSE divine to balance this restless MIND - it seems so wonderfully physical

Oh the BLOOD, the lust, the bodies that color the world: all drugs to die for! Won't you share my fire?

How can LOVE make that world a minefield of forbidden GROUND?

A map of untouchable skin and SILENCED desire?



And love was there in vain, PROFOUND and deep but traced with pain - too early for a child of TEN

Loving the pure and sane he sought the goddess unstained - watching them turn to flesh again

HUNGRY for both the PURITY and SIN

Life seemed to him merely like a GALLERY of how to be

And he was always much HUMAN than he wished to be

But there is a LOGIC to his world, if they could only see



Wishing - Sickened - I'll - Ticking



SOMEONE still this hunger (it's in my blood) always growing stronger (ticking)

BUDAPEST I'm learning, Budapest you're burning me



This is not who I wanted to be, this is not what I wanted to see

She's so young so why don't I feel free now that she is here under me?



Naked- Touching - Soft - Clutching



And then after all it lead me here to wake up again

Seeking a love that might make me feel free in myself but then it proves to be

Something that hurts inside when we touch, so I move on, I lose my way

Astray I'm trying too much to feel unchained, to burn out this sense of feeling cold

And every day I seek my prey: someone to taste and to hold

I feel alive during the split second when they smile and meet my eyes

But I could cry 'cause I feel broken inside!

COME and DROWN with me- the UNDERTOW will sweep us away!

And you will see that I'm ADDICTED to my HONESTY

Trust! 'Cause after all my sense of TRUTH once crought me here

But I've LOST control and I don't know if I am true to my soul

I've lost CONTROL and I don't know if I am true to my soul

Losing control and I don't know if I am TRUE AT ALL



[Johan Hallgren]

[Daniel Gildenlow]



And we were always much more human than we wished to be...

And I remember when you said you've been UNDER him - I was suprised to feel such pain

And all those years of being faithful to YOU despite the hunger flowing through my veins

And I have always tried to calm things down - SWALLOW down swallow down

"It's just another small THORN in my crown"

But suddenly one day there was too much blood in my eyes, and I had to take this WALK down

REMEDY LANE of whens and whys...



Empty - Licking - Clean - Choking



SOMEONE still hunger (possessing my mind) always growing stronger (craving)

BUDAPEST I'm learning, Budapest I'm burning me

This is not who I wanted to be, this is not what I wanted to see

She's so young so why I don't feel free now that she's under me?

In the morning she's going away in a Budapest taxi I've paid

Seeking freedom I touched the untouched - it's too much - I'm BEYOND THE PALE...



Prematurity is the story of both you and me, and we were always much more human than we wished to be

Prematurity is truly the story of both you and me, and we were always much more human than we wished to be

We were always much more human than we wished to be - we were always much more human than we wished to be

We will always be much more human than we wish to be



WE WILL ALWAYS MUCH MORE HUMAN TAHN WE WISH TO BE...

venerdì 27 maggio 2011

Deca-Futurismo



Un lungo stacco senza tornare a questa familiarità, placido utero in cui giacere al caldo prima di esser risputati in ciò.
Eppur questo tocco non mi spiace quando la realtà mi lede, e l'acido mi corrode, i muscoli si rilassano cedevoli, lasciando che il freddo attraversi come burro quel che rimane di un involucro vuoto.
È un richiamo naturale quel che mi spinge, una natura deviata e corrotta, un silente piacere all'autodistruzione. Se fosse arte la mia pena sarebbe futurismo, io credo, uno spingere a tutta velocità quel che c'è, con la forza di mille cavalli e la tensione di un cavo d'acciaio, esaltando la guerra, disprezzando le debolezze, urlando e fremendo di gioia psicotica.
Mi pare d'esser davvero vivo quando vado vicinissimo alla morte, un attimo prima della grande pace, per poi lanciarmi nuovamente con corpo e mente lesi irrimediabilmente in una disgraziata realtà che mia non è.
E quanto sono belle le cicatrici, a ricordarti l'odio che provi per te stesso.

giovedì 26 maggio 2011

Acido

Sto facendo una cazzata, lo so. So che non dovrei dare certe importanze, mi promisi di ricominciare tutto, come se niente fosse accaduto, eppur il passato si fa sentire.
Mi ricordo un bel sentimento, un forte sentimento, tranciato e gettato nel fuoco, sostituito da un odio terribile e più che sincero. E poi il silenzio, due anni di silenzio, ove il rancore divenne rammarico, e poi autocommiserazione.
E io non voglio riprendere da dove tutto finì, come se quel buono che c'era in tutto questo si fosse conservato silente in un ampolla di cristallo, pronta a esplodere lasciando i suoi cocci a farmi a pezzi da dentro.
Non riesco a smettere però di pensarvi, e la psicosomatica non mi aiuta, spezzandomi minuto dopo minuto in un posto così vicino al cuore.
Troppo rapida di ritorno questa mia affezione, e il fallimento potrebbe esser davvero il colpo di grazia, come il successo un evento da anni subconsciamente agognato.

Poichè lei è l'acido che mi sta corrodendo, piegandomi in spasmi d'a...

martedì 24 maggio 2011

Interrelazioni digitali

Argomento già sentito, ma onestamente mi piace lo stesso.
I social network ci hanno un po' fottuto onestamente, perchè è comodo dipingersi invece di essere, e quindi sembrare chissà cosa.
Non è difficile vedere gli individui che attuano questi miseri comportamenti, poichè son molti e agiscono in maniera ripetitiva. Chi non ha mai sentito parlare una persona tipo "devo togliere questa foto da fb perchè mi fa grassa" o cose del genere? Ecco, quello è un artifizio per creare immagine, chi sta bene con se stesso permette che tutti lo vedano per com'è.
Oppure, la mitica privacy, cosa completamente opposta al concetto di social network, che prevede che uno faccia conoscere solo parti di sè che vuole, impedendo il resto.
O anche dopo la privacy, ogni singola citazione, ogni singola foto, ogni singolo link studiati con precisione per farsi un immagine o comunicare per non detti.
PERDIO GENTE PARLATE, INCONTRATEVI, TOCCATEVI! Quelli sono veri rapporti umani, poichè dietro a questo Avatar non vi è una persona, ma la proiezione di quello che essa crede di essere, un fantoccio fatto di frasi fatte, di pensieri artificiosi, e di foto ritoccate.
Forse è diverso che uscire con un manichino?

sabato 21 maggio 2011

Gli Occhi del Vinto



6.19. Niente sonno, ormai non lo posseggo più. Le mani fanno male per il gelo, mille pugnali che trafiggono carne e muscoli, scavando in profondità.
Guardare nello specchio è catartico, il riflesso non rassomiglia in nulla al passato, ove si presentava con un sorriso beffardo, occhi vispi di un unico verde brillante, una persona che prende la vita e ne spreme i frutti.
Ora c'è un volto cupo, dalle vistose occhiaie, gli occhi grigi bassi a scorgere il terreno.
Questo è lo sguardo del vinto, l'individuo che sa di aver messo ogni singola parte di sè in quello che ha fatto, per vedere tutto spazzato via da un fato infausto e crudele. È quando tutto sembra perdere di colore e consistenza, e l'alba più bella non è diversa dal chiaro asfalto di vecchia data. È quando si vuole piangere a dirotto e urlare, ma non vi son più lacrime, e la voce non è che un sibilo inudibile.
Giacevo in quel letto che non era mio, e lei mi dava le spalle, dovevo solo accelerare sperando che qualche imprevisto terminasse tutto, ma dovevo fare in fretta perchè non avrei retto alla visione dell'alba, che avremmo dovuto goderci assieme.
Chiuse le finestre, e tirate le tende, la stanza è immersa nell'oscurità.
Silenzio e disperazione.

Vita…mi ha tradito ancora una volta
Accetto che alcune cose non cambieranno mai.
Ho lasciato le tue piccole menti ingrandire la mia agonia.
E mi ha lasciato con una dipendenza chimica per la sanità mentale.

Si, sto candendo…quanto a lungo finchè colpirò la terra?
Non posso dirti perché sto crollando.
Ti chiedi perché preferisco essere solo?
Ho davvero perduto il controllo?

Sto giungendo ad una fine
Ho capito ciò che potevo aver avuto.
Non posso dormire così prendo un respiro e mi nascondo dietro
La mia maschera più coraggiosa
Ammetto che ho perduto il controllo
Controllo perduto…

martedì 17 maggio 2011

Cain



Liberamente ispirato alla canzone Cain dei Tiamat

Percepisci con me il fardello, la penitenza che Lui ci ha affibbiato, poichè è solo questo l'importante, l'oscura consapevolezza di saperci presenti e maledetti, attorniati da una trista aura di malinconia, alla ricerca di qualcosa che sia più che terreno da far nostro, condividendo con esso eoni di silenzio mentre il sole cala ancora.
Questo è il rumore del nulla, in cui l'udito si sensibilizza a tal punto che il più piccolo rumore, il più flebile respiro diventan grida assordanti, impossibili da ignorare, e costringono a seguirli nell'illusioni del divenire. Forse è per questo che perseveriamo nel fallimento, crogiolandoci nel nostro dolore, perchè altro non sappiamo fare, cercando ogni giorno qualcosa che ci riscaldi almeno per un istante perchè di più non resisterebbe al contatto, qualcosa di semplice che non ci dia niente più di pace e armonia, che senta ancora il profumo della vita sapendone trarre i giusti frutti, cose che noi abbiamo ormai dimenticato o solamente ignorato troppo a lungo.
Non v'è altro che paura in quegli occhi, in quel prezioso volto, mentre il verde dei miei s'è perso in un grigio glaciale, e le nere pozze iridee si aprono godendo nel piacere della notte e della presenza di umanità, e quei seni perfetti si muovono affannosamente in un respiro forzato, quando non vorrei fare altro che riposare su di essi come placido infante.

Se io vado tu mi seguirai
Tra le crepe e i vuoti?
E io sarei il tuo Caino
Se tu fossi qui ora.

Linea retta

Se tutto ciò che è è tale, e quindi quel che non è non può essere, ciò che è assume la connotazione di singola possibilità plausibile tra essere e non essere, riducendo la capacità di scelta binaria a un singleton imprescindibile. Dato ciò risulta insignificante parlare di condizioni ipotetiche, o anche solamente di possibilità diversificate, in quanto esse non esistono nè mai sono esistite.
Non è forse questa una riprova dell'esistenza ed ineluttabilità del destino, e della nostra palese mancanza di libertà?

lunedì 16 maggio 2011

Battery Over

Manca la carica, l'energia di reagire, poichè oltre a un certo limite non ci possiamo sporgere, lasciando nell'insoluto quello che ormai è vergognosamente palese per affetto.
La passività ci ha colto, un po' alla sprovvista e un po' perchè l'abbiamo voluto, incatenandoci in questa sorta di limbo di niente circondati da creature melmose dalla forma indistinta.
Tender la mano non serve più, se dall'altra parte manca la voglia di essere qualcosa di diverso da un'ombra, e la vita ha già preso il largo e saluta con la mano.
E io la raggiungerò a nuoto, mi aggrapperò alla chiglia con tutta la forza che posseggo, e chi vorrà rimanere sulla banchina a chinare il capo al niente che lo faccia.
La mia mano sarà ancora tesa mentre solcherò l'orizzonte.

sabato 14 maggio 2011

Come polline nel vento

Non è facile trovare il proprio ambiente, il proprio branco, ove tutti ti conoscono e ti rispettano accettandoti come sei.
Perfino Chaplin riconosceva questa difficoltà, l'improbabilità di una persona che non fosse "normale" di adattarsi alla gente comune se non perdendo se stessa.
La libertà di azione e di espressione è meravigliosa quando sai che nessuno ti condannerà per essa, è come stare nel proprio ecosistema ideale, gli odori sono familiari, la terra è più morbida, e la vista si ritempra davanti all'immagine di casa.
Il problema del branco stesso è che una volta creata una sintonia tale da giungere a questo punto cambiamenti decisivi anche di uno soltanto dei membri portano a sconvolgimenti di tutto il gruppo, quasi accadesse per osmosi. Il gruppo può modificarsi, adattarsi, ma la sua elasticità è molto limitata in quanto ricorda il precedente equilibrio di pace, fino a quando la deformazione formatasi non supera il punto di elasticità e diventa irrimediabilmente plastica, per non dire che giunga a un vero e proprio punto di rottura.

Il risultato di queste pamplane che non so come ultimare?
Ti vedo volare via, come polline nel vento, impossibile da sfiorare poichè si distruggerebbe.

venerdì 6 maggio 2011

Anatre

Spesso affermo ultimamente "Cazzo mi sono dimenticato a caso il richiamo per anatre".
Il significato sembra oscuro senza il contesto, ma se dico che enuncio la cosa solo in presenza di un gruppo di femmine la cosa si fa cristallina.
Nonostante becere ragazzine mi additerebbero come maschilista, io son grandemente per la parità sessuale, e non mi spiace far il cavaliere ogni tanto, con chi merita.
Ciononostante la domanda che quest'oggi pongo è: perchè se mi trovo con i miei amici maschi parliamo di tutto, da stupidaggini a esistenzialismo ma con un filo conduttore di matura logica che rende i discorsi adulti, mentre se cominciano ad accorrere un numero >2 di femmine (bada bene non donne) si comincia a sentir starnazzare di idiozie?
Si si "bla bla bla non tutte son così bla bla bla" diranno molte, e io vi rispondo che ne conosco 3 che così non sono, è un numero piuttosto esiguo non credete?
Eppur spesso l'annosa questione ritorna, ma sarà possibile che questa latenza di idiozia sia così diffusa, fino al punto di trasformare quel che io idealizzo come magnifica e sublime entità in qualcosa da disprezzare?
Mah, saran gli anni 90.
Respiravo ancora nella tua bocca mentre mi portavi via la vita, giacendo sotto te come amanti addormentati.

Estratti dal Libro Rosso IV:

Penetra la roccia
che ciotola la strada
mille lame nella pelle.
Il nero peso del profeta
schiavo e re apparso a loro
grigi esseri di sabbia
condannati all'Ade
bramosi del mio corpo.
Ferro e carne attraversano me
amaro ora è il vino
guarda padre la tua creatura
mandata al patibolo perchè lasciva
che fuoco venga per me
mentre rinnego l'alto
e per loro che mai saran redenti.

lunedì 25 aprile 2011

Mercoledì 20 aprile 2011

Un'altra sera in un buio angolo illuminato da una misera lampada da ufficio, a scriver le mie memorie informatiche, stringhe di dati che nessuno leggerà, andando esse a perdersi nell'etere col tempo e il rinnovamento della tecnologia.
Amerei molto di più una vecchia Olivetti, la compagnia del suo monotono suono mentre ritmicamente lascio che le mie dita cadano pesanti sui tasti, come inesperto pianista, brevi campanelli quando la linea giunge al termine, e via nuovamente in un susseguirsi di toni identici.
Eppur son qui, volendo che qualcuno leggesse i miei scritti solitari, così patetico nel cercare quelle misere attenzioni che richiedo e che mai mi vengon donate, così solo da scrivere a me stesso per rompere il flusso di pensieri di decadenza che mi attanaglia senza sosta.
Non era così che immaginavo l'inizio delle mie vacanze, seduto su una sedia rotta accatastato dove capita mentre l'aroma chimico della vernice avorio inonda le mie nari, ricordandomi i lavori che accadon nella mia camera. La figura che avevo in mente era di poco conto certo, ma a modo suo bella, in un baretto senza alcun significato a bere fino all'intorpidimento sensorio, e poi viaggiare con la mente in compagnia di pochi fedeli che stimolassero il mio estro per allontanare volti familiari ma terribili dalla mia mente, creando un singolare vuoto caleidoscopico in cui poter notare mille sfaccettature diverse dalla grigia realtà.
Una chitarra solitaria accompagna il mio scritto, simile a messa da requiem gridata con infinita disperazione, unghie sulla scura lavagna che si spezzano lasciando sangue come scia di identità. Non riesco a non ascoltare la cantilenante malinconia delle note, l'unico modo di lasciare questo grigio è scendere ancora, lentamente, finchè perfino la vista sparisce e il grigio non si nota più, sostituito dal caldo nero, compagno in ogni istante.
A tratti escon volti, passati e nuovamente presenti, stranamente simili nella fisionomia, nel colore, nella gioia, ma forse è solo la mia idealizzazione che li accomuna, così alta da esser ad ogni istante precaria, quando non ormai mutata in negatività o viceversa. Troppo umano, ancora troppo umano.
Vedo i loro corpi intrecciarsi col mio, sudati nella loro lubricità, vogliosi ancora di me, anche quando il corpo finisce resta l'Io da consumare, più intimo di qualsiasi tessuto, più profondo di qualsiasi baratro. Mi chiamano a loro come cane fedele, con parole gentili e gesti d'affetto, mentre ancor una volta rifuggo dai sentimenti, dalla necessità di qualcuno, poiché troppo dolorante e mai guarito. Mi desiderano perché scappo, perché sparo ogni molecola del mio organismo verso il nulla piuttosto che verso loro, cedere significa soccombere ancora, subire ancora quella dolce umiliazione sfociante nell'ennesimo dolore che potrebbe costarmi davvero troppo stavolta.
Mi piacerebbe in realtà arrivare a una certa decisione, credo sarebbe pacificatrice, delicata, indolore, eppur mi sembra di occorrere ancora a qualcosa, oppure di non aver svolto lo scopo, e dunque persevero vessato dal destino e dal crudele universo.
Sogno un viaggio in mondi n-dimensionali, ove spazio e tempo non contano più, dove le geometrie si intersecano in oscure strutture inimmaginabili, poter giacere su quello che non più è angolo senza provar dolore, mentre uno spettro iridescente rappresentante un nuovo spazio si crea davanti a me.

Inserito il 25/04/2011 data la conclusione di ferie.

lunedì 18 aprile 2011

...see you cowboy...

Strana scoperta è la mia, quella di sapermi perdonante.
Sarà che ho un codice ben specifico e intangibile, ovvero quello di dar una seconda chance a tutti, sarà la karmica calma che m'assiste di recente, ma raramente capita alla mia persona di cancellare come gomma su matita un intero avvenimento.
Mi par di dimenticare una ferita profonda, illudendomi che mai abbia fatto male per davvero, anzi forse ero io a lamentarmi troppo, e ciò che rimane è una cicatrice sottile da mirare in giorni di malinconia.
Chissà, visto che la pugnalata è arrivata sulla schiena, probabilmente non vedendone il segno è entrata in dimenticatoio.
Mi son preposto un obiettivo esotico, un po' perchè mi diverte, un po' per esperimento, ovvero quello di cancellare da zero qualunque cosa, e riprendere come foglio bianco, non sapendo nulla se non che voglio viver con naturalezza, senza nessuno che mi imponga limiti, e recuperare tutto quello che molto più di due anni non mi han dato.


...see you cowboy...

venerdì 1 aprile 2011

Mandorla Amara



Melliflua si fa strada nel palato
Silente e maestosa
Mandorla amara in cui soccombere
Giusto culmine del giorno.
Serpeggia in gola
Come murena in mari tropicali
Nuotando celere verso il basso
Ove vi è la sua tana.
Madido si fa il viso
Dolgon i nervi di fuoco
Il respiro s'affanna
Il cuore batte d'amore.
A terra, esausti
La linfa ora è fuoco
Nell'ultima estasi
Cessa lesto il corpo.

domenica 27 marzo 2011



"Tutto è bene quel che finisce" [autocit]

lunedì 21 marzo 2011

I figli del serpente

Un tempo nel grande sud, vicino al Polo Elementale del Fuoco, viveva il grande Cobra d'Opale, grande elementale della terra che regnava sopra e sotto il deserto. Le popolazioni nomadi lo veneravano, in cambio di acqua e protezione, offrendogli le più belle ragazze di ogni tribù, con cui egli figliava creando dei semidei mezzi uomini e mezzi serpenti, che vivevano in pace con le tribù difendendole dai pericoli dell'insidioso deserto, e dall'oscuro Wyld.
Nacqui da una di quelle femmine, grande e forte come le rocce più scure, in un periodo di caos e mutamento, quando le Stirpi del Drago giunsero dall'Isola Benedetta per distruggere gli dei e instaurare il culto dei cinque Draghi.
Non fummo pronti alla loro disciplina, e al loro numero, così cademmo a centinaia, umani e semidei indistintamente. Venni preso e torturato da un generale della terra, che si godde le mie sevizie senza fine, costringendomi a mangiare la gente del mio villaggio per saziare la mia fame senza fine.
Poi giunse un uomo, anziano e severo, che calmo giunse di fronte a me, e poggiandomi una mano sul muso, infuse in me una prigione per la mente, potevo vedere ma non guardare, potevo perrcepire ma non sentire, e le mie movenze erano artificiali, controllate da una volontà più grande della mia.
-Vai e uccidi i tuoi fratelli, senza pietà- disse la voce dell'uomo nella mia mente, e come fidato cane io obbedìì, versando lacrime di sabbia.
Caddero in molti, forse non tutti, ma di sicuro la totalità di quelli che conoscevo. Il sistema era semplice, loro mi accoglievano per ciò che ero, e io li uccidevo appena se ne presentava l'occasione.
Quando non ce ne furono più, e il culto del Cobra d'Opale era sostenuto solo da poche centinaia di ribelli, il vecchio se ne andò e venni dimenticato in carcere, a morire come pietra sotto l'acqua.
Il generale della terra morì, e io diventai proprietà di suo figlio, che si dilettò in giochi ancora più crudeli del padre, incidendo le gemme che componevano le mie scaglie con scalpelli di giada.
Una cosa bramava il mio cuore, l'unica che mi aveva sempre tenuto in vita, e che ora era più forte che mai: vendetta, accompagnata dal massacro indiscriminato di tutti quei miseri umani che avevano soggiogato il deserto.
feci appello al mio ormai debole padre, e al suo sangue, e sentii la sua potente risposta. Crebbi, gonfiando a dismisura i miei muscoli di pietra, il mio muso di allungò e i miei occhi normalmente gialli mutarono in pozze di buio rosso, folle e smisurato. Strappai le catene che mi imprigionavano, e afferrai il misero umano ai miei piedi, infilando le mie mani artigliate nel suo sterno, aprendo crudeli piaghe nelle sue costole, ma senza toccare gli organi vitali. Lo bloccai a terra con la coda, spezzai tutti gli arti con uno schiocco sordo, e lentamente mi feci strada con il muso nelle sue viscere, mescolando gli odori con la lingua prima di tuffarmi in quel sontuoso banchetto umido e caldo. Vidi la sua energia bianca spegnersi lentamente, e sapevo che se avesse potuto emettere fiato avrebbe pregato me di finire presto il lavoro.
Uscii dalla cella, senza che nessuno potesse fermarmi, raccolsi il grande martello di quella famiglia, con la testa somigliante a un drago, e andai verso l'estremo sud, dove i miei adoratori attendevano un leader che li avrebbe portati verso la guerra.

giovedì 17 marzo 2011

Estratti dal Libro Rosso III: Diana

Che di lei non conosca
che la perlacea cute, o la corvina chioma
importa poco di fronte alla sua magnificenza.
Siede fiera e consapevole
del suo potere sul mondo,
mi perdo nei suoi occhi
pozze di buio profondo
e abbasso lo sguardo per non farvi ritorno.
Sarà la sua voce come cantico?
Rispecchierà antichità il suo nome?
Nel disturbato silenzio notturno,
come cacciatrice di uomini,
Diana è il suo nome, per i miei sensi.

Estratti dal Libro Rosso II: Perdono

Frenetico è il destino di chi vuol perdonare
Almeno una volta,per ritualità
Tacer il chiasso dell'avvisaglia
Come cotone nei timpani.

Mal è la vita, e ben lo sappiamo
Ma dell'esperienza facciam virtute
E peregrinando senza sentieri
giungiam in luoghi a noi ignoti.

Serriam le palpebre silenti
E ci fidiam ancora una volta
Di questo dio che mal ci ha voluto
Nel donarci un peso invece della grazia.

mercoledì 16 marzo 2011

Estratti dal Libro Rosso I: Gli occhi del gatto (liberamente ispirato a Poe)



E ancora una volta vidi l'occhio del felino, limpido che mi squadrava mentre la mia consorte tumulata veniva liberata dal suo intonacato sepolcro. Come note di un requiem suonavan i picconi sull'argilla, mentre la bestia si ostinava a fissarmi, languida e desiderosa della sua vendetta.
Torvo si fece il volto degli armigeri alla vista del cadavere che giaceva nella nicchia di quel che era stato un camino, mentre il cuor mio ancora si ostinava di batter con regolarità. Fu inevitabile il mio sorriso sarcastico mentre offrivo i polsi ai gendarmi, lasciandomi senza sforzi trasportare ove avrei giaciuto prigioniero, e presto sarei stato condannato.
Fredda e spoglia era la cella ove mi trovavo, costretto a dormire su un umido pagliericcio, molto simile al pelo di un animale, quando la luce calò nella stanza. Una macchia nera aveva oscurato la fioca luce della luna, ma il riflesso di una gemma al suo centro mi diede indizio su cosa la macchia fosse.
Il gatto nero era là, nuovamente a fissarmi da un punto per me irraggiungibile, e per quanto io tentassi di prenderlo, egli non muoveva muscolo, paziente. Inquietato ma stanco giacqui sotto la sua vigile guardia, in attersa dell'alba.
Mi svegliarono presto, e mi condussero al processo, ove come un timbro su ceralacca il giudice firmò la mia condanna, mandandomi direttamente al patibolo.
Davanti al ceppo giaceva la bestia, silente, godendo senza emozioni lo spettacolo preannunciatasi.
Cadde la mia testa nel cesto, recisa dalla mano sapiente del boia, e mentre vivevo gli ultimi istanti della mia vita separato dal mio corpo, vidi il gatto nero giocare allegramente con uno dei miei occhi.

sabato 5 marzo 2011

Serata all'artemisia

C'è forse sensazione migliore del calore diffuso provocato dalla degustazione di un bicchiere d'assenzio, preparato secondo rito classico, e bevuto composti tra persone dello stesso lignaggio?
Quel fantastico stillicidio quando l'acqua ghiacciata cade sulla zolletta, innaffia il gotico cucchiato forato, e lenta si unisce al verde finchè la bevanda non è louche, permettendo a ogni singola erba di uniformarsi in quello che altrimenti sarebbe il festival dell'anice.
Il primo assaggio, che riempie bocca e nari di aromi unici, lasciando che un piccolo fremito di godimento si espanda lungo la spina dorsale.
Bere lentamente, contemplando come il calore si espande alle dita, le gote arrossiscono e la mente si apre, creativa.
La leggera delusione quando il bicchiere finisce, dimenticata nella consapevolezza che sarà concesso ancora un assaggio.

Un peccato che non fossimo in un cafè-concert in mezzo a un gruppo di intellettuali di un certo livello, ma a parte alcune eccezioni in un baretto dove la legge vigente era l'avvinazzarsi random, la quale ovviamente produce relitti di umanità e parodie non indifferenti, sopportabili solo da pochi eletti troppo sobri o troppo ubriachi per badarci.
Mi mancano un po' certi ambienti di crescita, c'è troppo degrado.

sabato 26 febbraio 2011

18 anni II, il post-conventional



In edizioni precedenti è stato discusso del pre e delle sue fibrillazioni, andiamo ad analizzare il post.
Per conteggio arabo intersecato con l'aspettativa di vita media, ci son decisamente anni dopo i 18 :), parliamo in particolare del range 19-25.
Questo intervallo chiuso, fase vincolante della rifinitura dell'individuo, possiede la splendida facoltà di spingerti sul trampolino dell'età adulta trattenendoti comunque con una cordicella di protezione infantile.
C'è chi si lancia ad occhi chiusi, chi viene spinto con la corda tranciata, e chi rimane aggrappato con tutte le sue forze a quel sottile nastro.
E dire che non capitava in passato, è una cosa tipica degli anni 90, sebbene qualcuno sfori di qualche annetto: puntualmente il 1990 e gli anni che ne son seguiti han creato una generazione di creature che vivono sotto un'egida di infanticrazia correlata a una presunzione di maggiore età spaventosa. Niente patente, niente responsabilità, niente impegni, niente di niente, insomma un limbo di assoluto nulla in cui si barcamenano alla ricerca del minuto piacere momentaneo senza capire di far parte di un sistema per cui sono una variabile 0, quindi nella completa inutilità, se non quando si sfocia nel danno vero e proprio verso gli altri.
Ma com'è possibile che un anno preciso abbia dato certi pessimi frutti? Non ne ho la più pallida idea miei cari, ma empiricamente il teorema è semplicemente verificabile, in quanto con eccezioni del 5% le persone da me conosciute sono interamente così, sebbene io speri che sia solo una mia esperienza, o un'esperienza circoscritta a un'area.
Non mi andrò certo a impergolare con boiate psicologiche, sapete bene cosa ne penso, sta di fatto che l'impronta dell'Italia si è trasferita in queste persone, lo stereotipo italico è tuttuno con il loro carattere, lasciandoci con vetuste cariatidi alle spalle e gioventù ignobile di fronte.
Ci sarà mai una nuova guerra mondiale che spazzi via l'Italia dalle cartine?

lunedì 21 febbraio 2011

Colui che nacque dai flutti



Lui non era di questa terra. La neve non lo riguardava, come nemmeno la terra ghiacciata. Il profumo dei pini in primavera e dei muschi estivi non rientrava nel suo mondo, e lui sembrava non assaporarne il piacere. Nemmeno le tavole imbandite di succulenti cinghiali e idromele lo attraevano, a lui bastava sedere vicino a una finestra che dava sul mare con un barile di birra scura al proprio fianco, e rimaneva lì a bere contemplando lo scuro oceano finchè i sensi non lo abbandonavano lasciandolo addormentato in maniera composta su una sedia.
Era arrivato dal mare su una piccola barca quand'era in fasce, e il suo unico possedimento era una spada che giaceva nella scialuppa. Per questo lo chiamavano Ghrond, figlio di Aegir.
Le sue fatture ricalcavano la leggenda che portava il suo nome, era incredibilmente alto anche per la sua gente, e possente come un toro.
Aveva capelli biondi lunghi raccolti in una treccia, e una barba ben curata abbastanza corta. Ma erano gli occhi che colpivano, avevano un colore verde-azzurro che ricordava il mare al crepuscolo, e guardavano sempre verso l'oceano, anche inconsciamente.
Era poco interessato alla vita del villaggio, e appena vedeva il mare ingrossarsi raccoglieva la sua vecchia barchetta e salpava, per tornare quando la tempesta si calmava, intatto e con un considerevole quantitativo di pesce, pescato con un semplice arpione.
Venne il giorno in cui la guerra incombette sul suo villaggio, all'improvviso, grandi drakkar giunsero da coste vicine e fu battaglia, breve ma intensa, finchè gli aggressori furono ricacciati in mare, ma nel frattempo le barche del villaggio erano state incendiate, e poco più che carbone restava a far posto al legno.
Gli occhi di Ghrond si ingrandirono a tale visione, ma non diede segno evidente di sentimenti, non era nella sua natura, finchè il cielo non tuonò e fu nuovamente tempesta nell'oceano. Tutti si affrettarono a rientrare in casa, mentre Ghrond ricevette la pioggia per la prima volta sulla terraferma, e qualcosa di ancestrale scattò nella sua mente aliena alla comprensione che non avrebbe potuto andare in mare.
Lo trovarono la mattina poco distante dal villaggio, già stava lavorando con un tronco di pino abbattuto, dimostrando notevoli abilità di carpenteria. Lavorò per una settimana intera, da solo, fino a che non costruì un piccolo drakkar abbastanza grande da contenere una decina di persone, lo trascinò lentamente fino alla riva e vi salì sopra, aspettando la marea. Presto fu in mare, ma non prese la direzione solita, piuttosto seguì la costa nella stessa direzione degli aggressori dei giorni antecedenti, giungendo a vedere le loro insegne in un paio di albe. Senza esitazione diresse la chiglia verso la terraferma, incurante degli allarmi dei guerrieri.
Il suo sguardo non guardava più il mare alle sue spalle, non erano più quegli occhi verdi calmi e silenti, erano occhi socchiusi in un'ira mai provata, iniettati di sangue e lacrimanti allo stesso tempo.
Frecce partirono dagli arceri sulla terraferma, e una si conficcò nel torace di Ghrond, facendo breccia nel suo addome scolpito e provocando un rivolo di sangue sottile ma costante. Egli parve non accorgersene, in una sorta di furia estatica, estrasse per la prima volta la sua spada dal fodero, lasciando che il sole dell'alba la rendesse luminosa, e con una rapidità innaturale si lanciò giù dalla nave prima di toccare la terraferma, così da essere ancora immerso fino alla vita nell'acqua gelida.
Gli arceri approfittarono di tale mancanza di tattica, scagliando una seconda salva di frecce di cui due colpirono Ghrond alle spalle, ma furono anch'esse ignorate dal furibondo gigante. Esgli scattò in avanti fuoriuscendo dalle acque come parte stessa di un'onda, e con un fendente deciso tranciò le braccia di tre arceri, costringendo gli altri alla fuga.
Giunsero guerrieri con spade e asce, attaccandolo da ogni fronte, ma a lui non importava più del suo corpo, che seppur grande e forte ricevette numerose ferite, alcune mortali. Egli sapeva solo che doveva roteare la spada con tutta la forza che aveva, finchè solo il silenzio l'avesse circondato.
Un grande guerriero dai capelli rossi colpì dall'alto in basso con un'ascia la clavicola di Ghrond, rompendola e penetrando nelle carni, per poi esser decapitato un istante dopo.
Un magro biondino infilò la sua picca nel costato del gigante, lasciando come conseguenza un fianco scoperto ove la spada di Ghrond passò senza problemi provocando immediata morte.
Una mazza agitata da un vecchio lo colpì poco sopra il polso, e le sue ossa fecero un suono secco quando si spezzarono, ma la mano non lasciava la spada, e non un fiato usciva dal corpo martoriato di Ghrond.
Fu silenzio nell'accampamento. Il corpo di Ghrond era coperto del suo sangue e di quello dei nemici, e di numerose ferite. Le ossa della clavicola, del braccio e delle costole erano ormai in evidenza, scomposte fuori dalle loro sedi, cinque frecce erano conficcate nelle spalle e nella schiena del gigante, e l'addome a stento tratteneva le viscere.
Ghrond si trascinò sulla barca, non ormeggiata, e con le sue ultime forze la diresse in mare aperto, aprendo un barile di birra scura, e rendendo onore a quello che probabilmente era davvero suo padre, mentre i flutti lo trascinavano verso l'oblio.

martedì 8 febbraio 2011

Apologia di reato

Quanto fiato sprechiamo ogni giorno vedendo il telegiornale, quante parole lasciate al vento facciamo commentando disgustati lo schifo che questa classe politica sta portando all'Italia.
Ma cosa siamo disposti a fare per rimediare?
Siamo italiani, quindi la feccia dell'universo, così abituati ad essere vessati che accettiamo qualsiasi sopruso, facendo poi gli intellettuali criticando il ventennio o qualsiasi altro governo "non democratico".
Può piacere o non piacere la democrazia, a me non piace, perchè a questo letame ci ha portato, ma forse è solo tutto l'insieme che è sbagliato. Il fulcro di tutto l'errore che vige con costanza nella mentalità dell'italianetto è "Non è un problema mio", così turpe ed egoista da attirare acqua al suo mulino lasciando morire gli altri, sapendo guardare solo all'immediato, e non capendo come uno stupido animale che in un organico come il nostro se una parte muore le altre le sono direttamente conseguenti.
Questa democrazia non è sinonimo di libertà, poichè è l'annullamento delle minoranze che tengono in piedi un Paese di imbecilli.
Certo, se si parla di democrazia si esagera ancora, poichè il popolo non sta governando questo Paese, ma sta dando voti (ponendo certo che esista il sistema elettorale) a della gente senza alcun ritegno, che ben sa di essere al di sopra non solo della legge, ma di qualsiasi regola morale e di fiducia rispetto all'elettorato, permettendosi non solo di inculare a sangue delle minorenni (eh si, il bunga bunga è questo), ma di cambiare partito politico nonostante la fiducia ricevuta, evitare perfino di considerare il giorno dell'Unità d'Italia "perchè siamo in crisi".
Enunciava Tocqueville, arcinoto filosofo politico e storico dell'Ottocento: .
Eccoci qua, uno specchio tricolore macchiato dal letame che siamo.
Che accade quando un'oligarchia vessa il cittadino? Quando le sue libertà fondamentali sono lese? Quando il suo futuro è disintegrato?
A casa mia si combatte, con manifestazioni diffuse e unite (non come gli studenti di Torino, un terzo di manifestanti su tutto il popolo studentesco, feccia schifosa).
E se il governo ti ignora? Oh beh, in tal caso non potrei che essere d'accordo e partecipe con i metodi più abietti e terrificanti esistenti di rivolta.
IN BRAIN WE TRUST

venerdì 4 febbraio 2011

Paciocco



Ogni tanto ci scrivo qui, non perchè io abbia voglia di scrivere ma per far vedere che ancora ci sono. La matematica sta assorbendo tutte le mie energie, e il resto non è che sia così ispirante.
La musica... insomma perdio ho così tante idee in testa, così tante melodie, ed eccomi ingabbiato nella band dei "non andiamo a tempo manco coi quarti" ceh nella giornata odierna riceverà uno smacco mica da ridere. Non ho le forze per protrarre a lungo una delusione.
Le endorfine... insomma quando ormai le si è sostituite da tempo con la bile, una pugnalata in più o in meno non fa quella differenza vero? BEH, A ME LA FA!
Pathetic humans!

giovedì 20 gennaio 2011

L'uomo del treno

6.30 am. La stazione era vuota, tranne per qualche barbone accoccolato alla ricerca di un poco di calore. La porta scorrevole si aprì all'incedere di un'ombra, che sotto le fioche luci della sala d'aspetto prese la forma di un uomo di media statura, pallido, magro, dai corti capelli neri e un accenno di barba incolta. Purpuree occhiaie segnavano il suo volto inespressivo, cerchiando i vacui occhi grigi che parevan guardare oltre le immagini, oltre gli oggetti, in un vuoto al di là delle cose.
Portava uno spolverino di pelle lacero, probabilmente acquistato di seconda mano in un mercatino, dei pantaloni stretti di cotone grigio fumo e una camicia bianca militare. Era decisamente vestito poco per il clima invernale della mattina, ma non sembrava badarci.
Oltrepassò come un ostacolo qualunque un barbone steso a terra, e andò a sedersi sulle gelide panchine di metallo dell'edificio, che davano sulla stazione permettendo di godere di un panorama industriale non da poco.
Stava lì, immobile, appoggiato allo schienale della panca, braccia lungo il corpo, gambe accavallate e testa china, si sarebbe potuto dire addormentato se non fosse stato per gli occhi aperti. Inizialmente poco, come un sonnambulo, poi lentamente si divaricarono in un espressione di potenza ossimorica rispetto al resto della sua figura, mostrando appieno l'iride che si serrava sensibile alle lampade presenti.
Una voce meccanica, arificiale, fu nell'aria: -Il treno 2011 delle ore 06.45 è in arrivo al binario 4.
Lentamente la figura si levò, incedendo con passo rituale verso i binari.
La passerella del 4 era interamente ricoperta di brina, e ogni suo passo provocava un suono ovattato scricchiolante nel vuoto dell'ambiente.
Si fermò sotto un lampione intermittente, vi si appoggiò distrattamente e soffiando vapore visibile a causa del freddo cominciò ad attendere, sempre a capo chino.
Il tempo passava, ma il treno non giungeva, come non giungeva l'alba e il ristorante caldo che l'accompagnava.
Circa mezz'ora sembrò passare, ma l'orologio digitale appeso sulla facciata interna della stazione non sembrava dimostrarlo. 6.44.
Sempre 6.44. Il freddo sembrava perfino aumentare, penetrando nelle ossa della scarna figura, costringendola a stringersi nel cappotto. Vi era un innaturale silenzio, niente rumore di treni, ma nemmeno più automobili si percepivano sulla strada lì vicino, e i barboni sembravano insolitamente taciti.
Quando ormai le dita dell'individuo erano intorpidite un'altra figura fece capolino dal sottopassaggio lì vicino: era un vecchio vestito da capostazione, ma l'intera sua divisa era di un color grigio chiaro, innaturalmente simile ai suoi capelli raccolti un una piccola coda dietro la nuca.
-Aspetti il 2011 figliolo?
-Così pare- rispose con tono privo di emozioni la figura.
-Non arriva perchè non è l'ora che arrivi, lo puoi vedere anche tu.
-Mi sembra di averlo atteso per una vita.
-Questo perchè brami di prenderlo, non è così?
-Come lo sapete?
-Sono da così tanto tempo in questo luogo, che ormai riconosco anche la più minima emozione negli occhi dei viaggiatori. Io so da dove arriva questo treno, e dove porterà, e tu?
-Certo che lo so, altrimenti non lo prenderei.
-Questo treno non ha meta se non quella che la gente vuol avere, ma ingannevole è il luogo dove si vuol arrivare quando non si conosce la ragione per cui si parte.
-Ma io so perchè parto.
-E sei sicuro di arrivare vero?
-Non lo so, ma ci spero...si insomma, credo di si.
-Beh, allora prendilo e non voltarti mai indietro. Se vuoi, condivideremo questo viaggio fino a quando dovrò prender la mia strada.
-Ma certo, mi farebbe piacere.
-Molte grazie giovanotto. Ah, eccolo che arriva.
Le gialle luci del treno, decisamente datato, rischiararono i binari portando una piccola parte di alba nella notte, e il treno cominciò a decelerare in prossimità della stazione.
Fu un attimo, e il vecchio senza tradire un'espressione si gettò sui binari a breve distanza dal treno, che viaggiava ancora a una velocità sostenuta. Il macchinista inchiodò, ma era troppo tardi per non sentire lo schioccare secco delle sue ossa che impattavano con la motrice. Il treno slittò sui binari ghiacciati, e lentamente perse d'aderenza lasciando la sua via per rovesciarsi contro la passerella 3 d'asfalto, dilaniando integralmente la fiancata verde.
Il vecchio era lì, riverso in terra, il corpo spezzato e ricoperto del suo stesso sangue. Ansimante guardò l'individuo, gli sorrise, un sorriso perfetto se non per il sangue che colmava la bocca, e sussurrò con il suo ultimo spasmo:
-Capolinea.

lunedì 17 gennaio 2011

"Spargendo sale sulla terra, difficilmente qualcosa può ancora crescervi"

domenica 9 gennaio 2011

Narciso

Guardando quella foto rimasi meravigliato.
Era carina, non di più, senza modifiche, senza abbellimenti, lo specchio della realtà. Solo una serata classica in un osteria dalle belle luci soffuse, dopo aver gustato tisane aromatiche e colloquiato di leggerezze.
Eppur è strano quel che la soggettività vede, specie di qualcuno che mai s'è piaciuto. Più magro, più rilassato, composto e sobriamente elegante, insomma un qualcosa che non avevo mai visto di me.


Strano ritratto è questo, la solitudine sembra così bella lì.

mercoledì 5 gennaio 2011

18 anni



Chi non si ricorda i suoi 18 anni? L'attesa che precede quella misteriosa data che rassomiglia alle porte aperte di una cella, le aspettative di un futuro, l'ansia di quel che sarà, così giovanile e così pura innocenza.
Devo dirlo, non ricordo molto dei miei 18, era tutto così confuso ai tempi, avevo per le mani una relazione che mi smuoveva, e una vita che mi abbatteva.
La scuola era uno schifo, l'ultimo triste anno tra noia e paranoia, e poche luci in tanta oscurità.
Era l'eterno periodo pre-macchina, e quindi le serate alcoliche si sprecavano come rituale della fine di un tempo.
Mi par di aver avuto un'attesa febbricitante per quella data così tardiva rispetto all'anno corrente, ero come un subacqueo senza ossigeno che tenta di risalire senza soffocare con la luce del sole poco distante da sè.
E poi giunse quella data, e fu festa, tra le più ebbre mai fatte, e dopo poco la patente ma nulla cambiava, i miei genitori rimanevano identici, e ribadivano che non era un giorno a fare di un ragazzo un uomo. Non capivo ai tempi, ma è tanto vera questa frase, non ero nemmeno la metà di quel che sono oggi (e chissà cosa sarò domani), ma sentivo le ali premere sotto le catene, e presi in mano tutto quel che mi rimaneva e posi con la forza le basi di oggi, con la famiglia, con gli amici, con tutto il mondo per essere quel che desideravo al tempo. E lo fui davvero, per poco, ma poi decisi che non mi bastavo più, e che desideravo nuovamente cambiare, e così via fino ad oggi.
Credo che i 18, come ogni cosa, sian solo una convenzione, quando per la completezza di una persona è solo una rampa più ripida su cui procedere con maggior attenzione. Non sto dicendo di viverli, tutt'altro, è proprio l'esperienza di questi anni che rimane per sempre, la più formativa per un individuo, e più preziosa nel bene e nel male se esistono.

"La gioventù e l'innocenza son ciò che ti rendon come un mattino d'estate"