sabato 27 luglio 2013

La mia visione del motociclismo

Visto che amo essere sociale e sono tipicamente amante del prossimo, una nuova occasione di fraternizzare mi si presenta ogni volta che utilizzo la mia moto e mi fermo in un locale. Frotte di astanti pseudoappassionati di due ruote accorrono per vedere la mia sexy Honda Shadow nero opaco, assalendomi con domande o questioni sulla vita del vero biker.
Innanzitutto la parola stessa, biker, vuol dire motociclista, quindi davvero c'è qualcuno che non sia un biker che fruisce comunque di una moto?
Poi vi è la condanna della categorizzazione tramite la forma della moto: custom= rockettaro, sportiva=tamarro. Bah.
Vediamo dunque di fare un po' chiarezza con dei semplici punti, a scanso di equivoci:
-io guido la moto perché mi dà adrenalina e mi fa sentire libero
-mi piace andare sia forte sia piano
-ho scelto una custom giapponese perché ha un motore splendido ma è comodissima
-mi fanno schifo le Harley, perdono olio, si spaccano come niente e costano come se fossero delle moto vere
-non vado ai motoraduni perché odio le persone e mi sembra di andare a un incontro di pavoni che devono dire a tutti che posseggono un motoveicolo
-saluto gli altri motociclisti ma non parlo con loro per forza, per me è come salutare uno con la maglietta di una band che mi piace, e niente più
-viaggio solo quando il tempo lo consente, non ho voglia di congelare o di morire per le avversità metereologiche
-lo stereotipo del biker americano appartiene agli USA, e già quello non è di mio gradimento in quanto da fenomeno di nicchia per disagiati sociali è diventato mainstream, non diversamente dagli hipster
-io metto il casco integrale perché non ho voglia di farmi un'insalata di animali durante i miei spostamenti, nè di subire precipitazioni sulla mia faccia
-io mi vesto come mi pare, se ci sono 87 gradi mettere i pantaloni di pelle e gli stivali è da decerebrati

Grazie, e buonanotte.

venerdì 12 luglio 2013

Il demone

Egli dorme quieto, il demone sigillato nei recessi del mio spirito, apparentemente sopito ma in realtà sempre in attesa di una scappatoia che presto o tardi troverà.
Frutto di un artifizio per catalogare metaforicamente un orrendo carattere che sono riuscito a mediare con possente autoanalisi e crisi mistiche concatenate, egli aspetta impaziente la summa del disagio, quando la gastrite esplode immane, la tachicardia impazza privandomi del pieno controllo del diaframma e qualsiasi tipo di controllo e barriera si infrangono inesorabilmente lasciando solo una bestia incontrollabile e maligna, dal cuore di pietra, propensa solo all'autocompiacimento, priva di qualsiasi senso della misura e pronta a distruggere tutto ciò che si frappone tra lei e i suoi scopi.
Ecco cosa c'è dentro, tolti tutti i veli. Ecco cosa dovrebbero temere i miei cari, almeno quanto lo temo io.
Poiché è l'unica cosa che temo davvero.

lunedì 8 luglio 2013

L'inadeguatezza dell'italiano

Prima di scrivere qualunque cosa, voglio fare un po' di lessico al fine di comprendere al meglio i miei scritti. Quivi esprimo il concetto di "italiota" come l'italiano medio, mentre l'"italiano" è una persona abitante della penisola italica che però ha una cultura e un modus operandi degno di essere riconosciuto come intelligente.
Detto ciò, in questa sede voglio esprimere le sensazioni di un italiano, una persona che è forse un po' chiassosa per le altre popolazioni, ma dalla sua ha la competenza dell'essere cresciuto nella merda senza rimanerne del tutto corrotto, una persona con valori quali la legalità, la giustizia, la meritocrazia.
Quest'Italia, invasa ormai dall'italiota, vive un regresso culturale senza fine: abbiamo le religioni e le etiche che fanno da contrappesi in una bilancia dove solo la logica e il benessere collettivo dovrebbero aver voce; abbiamo l'abbassamento esponenziale della cultura media del cittadino dovuta a un sistema educativo, scolastico e sociale ai limiti della civiltà contemporanea; abbiamo il lassismo in ogni campo della vita quotidiana, tale per cui i fondamenti dello Stato e della società sono visti come paletti facilmente aggirabili o ignorabili. Analizziamole ora nel dettaglio.
Le religioni e le etiche sono dei moti emotivi non legati alla razionalità che impongono a uno o più individui un determinato comportamento e che, autoalimentandosi, si trasformano in correnti di pensiero di così ampio spettro che la disgustosa democrazia deve valutare come importanti, e quindi considerarli indipendentemente dal loro valore in sé. Pare molto pericoloso questo moto quando si pensa che persone sotto l'influsso di un'entità immaginaria o una corrente di pensiero distante anni luce dalla realtà vogliano legiferare su argomenti terreni. Questo lo definirei, in parole povere, "speculare egoisticamente sulla pelle altrui".
La cultura media, causa principale del fenomeno religioso sopra citato, sta cadendo nell'abisso in quanto il ruolo delle scuole primarie sta venendo meno, dove precedentemente l'educazione civica era d'obbligo e senza dei solidi pilastri culturali non si avanzava nel percorso di studi. Spesso sento parlare persone che si aggirano intorno ai 18 anni e onestamente non li capisco, non perché utilizzino un linguaggio terrificante, ma a causa della perdita dell'uso corretto della lingua italiana, dimenticando tempi verbali e ricorrendo ad abbreviazioni ed escamotage linguistici di dubbio gusto. L'incapacità genitoriale aiuta questo decadimento, i nuovi genitori sono così impegnati a preservare la loro gioventù e socialità che dimenticano il tipo di educazione che è stata loro impartita, diventando le macchiette di una famiglia moderna, e costringendo quindi i figli a una crescita malata che si ripercuoterà inevitabilmente sulla loro esistenza.
Ancora al precedente argomento si collega il lassismo, in primis da parte dei genitori verso i figli, poi da ogni singolo membro della società. Non che io abbia da dirmi un altruista, anzi vivo di misantropia, ma il punto fondamentale è che ogni cittadino dovrebbe comportarsi al meglio delle proprie possibilità in modo da essere uno dei molteplici pezzi di puzzle che completano il quadro dello Stato. Non esiste il giustificazionismo, l'opinione alternativa, la ribellione in branco, esistono delle leggi e occorre rispettarle, e nel caso non le si voglia rispettare occorre prendersi le proprie responsabilità in un composto silenzio. Quante volte abbiamo sentito degli italioti lamentarsi che un vigile ha fatto loro la multa solo perché avevano la macchina in divieto di sosta "solo per cinque minuti", e quante volte ho augurato loro una morte lenta e dolorosa conseguente alla loro soverchiante ignoranza.
Questo è quello che un italiano percepisce, un branco di scimmie con diritto di voto che lentamente si trascinano per il mondo a grugnire battendosi i pugni sul petto mentre armeggiano con un iPhone, pensando solo alla televisione e al gossip, allo sport e alla moda, dimenticando che prima delle loro idiote necessità ci sono dei doveri atti alla loro stessa sopravvivenza. E fa male, davvero.

mercoledì 3 luglio 2013

Animalismo vs Fanatismo

Il termine animalismo si riferisce a una corrente di pensiero che enuncia la possessione di diritti da parte degli animali, e che quindi propugna la tutela giuridica di essi.
Di per se non sono un amante degli animali, e non capisco come già questa condizione mi etichetti come un turpe signore delle tenebre, poiché semplicemente non amo rotolarmi con delle bestie o accoglierle nella mia casa in modo che sporchino ovunque, mica li maltratto.
Ciononostante nell'accezione più ampia dell'animalismo comprendo che occorra tutelare le altre specie dallo sfruttamento, tutto sommato molte di queste creature hanno un'autoconsapevolezza e sensi sviluppati tali per cui non credo sia lecito infliggere trattamenti ingiusti.
A questo proposito non ho volutamente utilizzato la parola "inumani", poiché l'eccedere in questa tutela porta a identificare delle creature, in particolare quelle belle alla vista, con altre persone, e quindi creare un rapporto morboso con l'animale stesso.
Sebbene io consideri gli animali inferiori all'uomo, consiglierei ai più politically correct di pensarli come diversi, non equiparabili o addirittura migliori di esso, poiché in tal modo si attuano nei confronti degli animali dei comportamenti patologici che si scontrano con la loro natura, e confondono quei ritmi e quegli istinti che sono normali e salutari per le bestie.
Cappottini, pranzetti, dormire in casa (specie se piccola), affezione eccessiva, ecc sono comportamenti che non rientrano nella natura di un animale, e sebbene possa abituarsi a ciò esso subirà uno stress disarmante derivante dal fatto che è una creatura selvaggia, che ha una nutrizione specifica, che necessita di spazi ampi e una scala gerarchica derivante dalla forza (qui uso esempi quali i cani, poi dipende dagli animali).
Tutte queste continue torture derivano dal fatto che il fanatico animalista possiede un senso dell'empatia sbagliata nei confronti dell'animale, immedesimandosi con esso come se fosse un essere umano, ma purtroppo gli animali non possiedono emozioni complesse come le nostre, e di certo non le esprimono con mimica facciale o corporea di nostra invenzione.
Questa situazione portata agli estremi vede casi come quello da poco accaduto a Milano, ove dei topi cavia sono stati rapiti da attivisti per i diritti degli animali, che oltre a rovinare anni di ricerca a beneficio umano hanno tolto queste creature a un ambiente sterile e spazioso per rinchiuderli in vaschette o scatoloni ove hanno cominciato a riprodursi a oltranza vivendo nelle proprie feci e ammazzandosi a vicenda.
Fino a che punto la presunzione può chiudere gli occhi alle persone, dando loro ragione anche di fronte a creature impazzite che si scannano in futuri focolai di peste come da quattrocento anni non se ne vedevano?
Veramente questi comportamenti debbono essere accettati da una società che già si impegna al massimo per una tutela obiettiva e razionale, lontana dall'emotività da palcoscenico?
IN BRAIN WE TRUST.