6.30 am. La stazione era vuota, tranne per qualche barbone accoccolato alla ricerca di un poco di calore. La porta scorrevole si aprì all'incedere di un'ombra, che sotto le fioche luci della sala d'aspetto prese la forma di un uomo di media statura, pallido, magro, dai corti capelli neri e un accenno di barba incolta. Purpuree occhiaie segnavano il suo volto inespressivo, cerchiando i vacui occhi grigi che parevan guardare oltre le immagini, oltre gli oggetti, in un vuoto al di là delle cose.
Portava uno spolverino di pelle lacero, probabilmente acquistato di seconda mano in un mercatino, dei pantaloni stretti di cotone grigio fumo e una camicia bianca militare. Era decisamente vestito poco per il clima invernale della mattina, ma non sembrava badarci.
Oltrepassò come un ostacolo qualunque un barbone steso a terra, e andò a sedersi sulle gelide panchine di metallo dell'edificio, che davano sulla stazione permettendo di godere di un panorama industriale non da poco.
Stava lì, immobile, appoggiato allo schienale della panca, braccia lungo il corpo, gambe accavallate e testa china, si sarebbe potuto dire addormentato se non fosse stato per gli occhi aperti. Inizialmente poco, come un sonnambulo, poi lentamente si divaricarono in un espressione di potenza ossimorica rispetto al resto della sua figura, mostrando appieno l'iride che si serrava sensibile alle lampade presenti.
Una voce meccanica, arificiale, fu nell'aria: -Il treno 2011 delle ore 06.45 è in arrivo al binario 4.
Lentamente la figura si levò, incedendo con passo rituale verso i binari.
La passerella del 4 era interamente ricoperta di brina, e ogni suo passo provocava un suono ovattato scricchiolante nel vuoto dell'ambiente.
Si fermò sotto un lampione intermittente, vi si appoggiò distrattamente e soffiando vapore visibile a causa del freddo cominciò ad attendere, sempre a capo chino.
Il tempo passava, ma il treno non giungeva, come non giungeva l'alba e il ristorante caldo che l'accompagnava.
Circa mezz'ora sembrò passare, ma l'orologio digitale appeso sulla facciata interna della stazione non sembrava dimostrarlo. 6.44.
Sempre 6.44. Il freddo sembrava perfino aumentare, penetrando nelle ossa della scarna figura, costringendola a stringersi nel cappotto. Vi era un innaturale silenzio, niente rumore di treni, ma nemmeno più automobili si percepivano sulla strada lì vicino, e i barboni sembravano insolitamente taciti.
Quando ormai le dita dell'individuo erano intorpidite un'altra figura fece capolino dal sottopassaggio lì vicino: era un vecchio vestito da capostazione, ma l'intera sua divisa era di un color grigio chiaro, innaturalmente simile ai suoi capelli raccolti un una piccola coda dietro la nuca.
-Aspetti il 2011 figliolo?
-Così pare- rispose con tono privo di emozioni la figura.
-Non arriva perchè non è l'ora che arrivi, lo puoi vedere anche tu.
-Mi sembra di averlo atteso per una vita.
-Questo perchè brami di prenderlo, non è così?
-Come lo sapete?
-Sono da così tanto tempo in questo luogo, che ormai riconosco anche la più minima emozione negli occhi dei viaggiatori. Io so da dove arriva questo treno, e dove porterà, e tu?
-Certo che lo so, altrimenti non lo prenderei.
-Questo treno non ha meta se non quella che la gente vuol avere, ma ingannevole è il luogo dove si vuol arrivare quando non si conosce la ragione per cui si parte.
-Ma io so perchè parto.
-E sei sicuro di arrivare vero?
-Non lo so, ma ci spero...si insomma, credo di si.
-Beh, allora prendilo e non voltarti mai indietro. Se vuoi, condivideremo questo viaggio fino a quando dovrò prender la mia strada.
-Ma certo, mi farebbe piacere.
-Molte grazie giovanotto. Ah, eccolo che arriva.
Le gialle luci del treno, decisamente datato, rischiararono i binari portando una piccola parte di alba nella notte, e il treno cominciò a decelerare in prossimità della stazione.
Fu un attimo, e il vecchio senza tradire un'espressione si gettò sui binari a breve distanza dal treno, che viaggiava ancora a una velocità sostenuta. Il macchinista inchiodò, ma era troppo tardi per non sentire lo schioccare secco delle sue ossa che impattavano con la motrice. Il treno slittò sui binari ghiacciati, e lentamente perse d'aderenza lasciando la sua via per rovesciarsi contro la passerella 3 d'asfalto, dilaniando integralmente la fiancata verde.
Il vecchio era lì, riverso in terra, il corpo spezzato e ricoperto del suo stesso sangue. Ansimante guardò l'individuo, gli sorrise, un sorriso perfetto se non per il sangue che colmava la bocca, e sussurrò con il suo ultimo spasmo:
-Capolinea.
giovedì 20 gennaio 2011
domenica 9 gennaio 2011
Narciso
Guardando quella foto rimasi meravigliato.
Era carina, non di più, senza modifiche, senza abbellimenti, lo specchio della realtà. Solo una serata classica in un osteria dalle belle luci soffuse, dopo aver gustato tisane aromatiche e colloquiato di leggerezze.
Eppur è strano quel che la soggettività vede, specie di qualcuno che mai s'è piaciuto. Più magro, più rilassato, composto e sobriamente elegante, insomma un qualcosa che non avevo mai visto di me.
Strano ritratto è questo, la solitudine sembra così bella lì.
Era carina, non di più, senza modifiche, senza abbellimenti, lo specchio della realtà. Solo una serata classica in un osteria dalle belle luci soffuse, dopo aver gustato tisane aromatiche e colloquiato di leggerezze.
Eppur è strano quel che la soggettività vede, specie di qualcuno che mai s'è piaciuto. Più magro, più rilassato, composto e sobriamente elegante, insomma un qualcosa che non avevo mai visto di me.
Strano ritratto è questo, la solitudine sembra così bella lì.
mercoledì 5 gennaio 2011
18 anni
Chi non si ricorda i suoi 18 anni? L'attesa che precede quella misteriosa data che rassomiglia alle porte aperte di una cella, le aspettative di un futuro, l'ansia di quel che sarà, così giovanile e così pura innocenza.
Devo dirlo, non ricordo molto dei miei 18, era tutto così confuso ai tempi, avevo per le mani una relazione che mi smuoveva, e una vita che mi abbatteva.
La scuola era uno schifo, l'ultimo triste anno tra noia e paranoia, e poche luci in tanta oscurità.
Era l'eterno periodo pre-macchina, e quindi le serate alcoliche si sprecavano come rituale della fine di un tempo.
Mi par di aver avuto un'attesa febbricitante per quella data così tardiva rispetto all'anno corrente, ero come un subacqueo senza ossigeno che tenta di risalire senza soffocare con la luce del sole poco distante da sè.
E poi giunse quella data, e fu festa, tra le più ebbre mai fatte, e dopo poco la patente ma nulla cambiava, i miei genitori rimanevano identici, e ribadivano che non era un giorno a fare di un ragazzo un uomo. Non capivo ai tempi, ma è tanto vera questa frase, non ero nemmeno la metà di quel che sono oggi (e chissà cosa sarò domani), ma sentivo le ali premere sotto le catene, e presi in mano tutto quel che mi rimaneva e posi con la forza le basi di oggi, con la famiglia, con gli amici, con tutto il mondo per essere quel che desideravo al tempo. E lo fui davvero, per poco, ma poi decisi che non mi bastavo più, e che desideravo nuovamente cambiare, e così via fino ad oggi.
Credo che i 18, come ogni cosa, sian solo una convenzione, quando per la completezza di una persona è solo una rampa più ripida su cui procedere con maggior attenzione. Non sto dicendo di viverli, tutt'altro, è proprio l'esperienza di questi anni che rimane per sempre, la più formativa per un individuo, e più preziosa nel bene e nel male se esistono.
"La gioventù e l'innocenza son ciò che ti rendon come un mattino d'estate"
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