mercoledì 29 settembre 2010

Scale di grigio



Le casse della Ford Fiesta Hot Magenta fanno il loro sporco mestiere, e sparano onde di potenti decibel nelle mie orecchie, sotto forma di Iced Earth senza Matt.
Viaggio breve, una quarantina di km, giusto un giro da Romagnano e ritorno alternativo, ma servono per pensare.
Pensare a ieri sera, fino alle 3 del mattino a parlare, per poi continuare oggi. Pensare a cosa manca, passione, e a cosa purtroppo c'è, apatia.
Viaggio tra il dorato grano, e i verdi campi intervallati dalla nuda terra e da baraggia incontaminata, ma maledetto da un vivo demone l'occhio nota solo scale di grigio, e i sapori e profumi mutano in cenere al passaggio.
...e mentre scrivo qualcuno mi sta facendo un'operazione a cuore aperto...

martedì 28 settembre 2010

Il metro dell'utilità



Non è semplice parlarne, ci va quel non so che di cinismo assoluto, ma tolto il latente buonismo(che non mi si confà affatto) esistono in ogni società quelli che mi piace definire "parassiti esistenziali", ovvero quelle persone che nè hanno utilità nel collettivo nè si prodigano per averla, e inoltre attivamente arrecano danno a singoli o a gruppi per trarne beneficio.
Vediamo di distinguere questa feccia in categorie:
-i mantenuti, disoccupati che non cercano lavoro nè studiano poichè hanno alle spalle terzi supportanti, convinti che la fonte di reddito arriverà per sempre, perduranti della nullafacenza nei modi e negli atti.
-i mutuati, sfruttatori di finto malessere per godersi un po' di ferie pagate.
-gli scioperati, fruitori di dure battaglie sociali per fini ignobili quali starsene a casa, condividendo una protesta non loro.
-i famosi free rider, che vivono tutta la vita di espedienti.
-i vecchi arcigni, anziani che passano gli ultimi miseri anni della loro vita a rendere quella degli altri impossibile, perdurando nel loro odio e sfruttando la loro canuta condizione.
Sarebbe ben logica e produttiva la potatura finale di tali individui, permangono essi altrimenti un peso sociale non risolvibile, poichè il loro difetto non sta nella mancata opportunità, ma nella mancata voglia di averne una.
Diventeremmo forse più simili a macchine se non avessimo pietà dei degenerati? Personalmente spero ancora mi crescan dei bulloni.

martedì 21 settembre 2010

Perchè non sarò mai un buon scrittore

Non era un segreto che io fossi predisposto a saggi brevi, argomentazioni da giornale o articoli da colonna. Non a caso in nessuno dei miei scritti si superano le canoniche 2 pagine A4.
Provai ieri a scribacchiare effettivamente un racconto fantasy pulp basato sulla storica campagna di Eberron di Ferre, ma dopo poche righe la noia mi assaliva. Sapevo esattamente cosa avrei dovuto fare per trasformare un racconto sbrigativo in qualcosa di effettivamente soddisfacente, descrizioni ampie ma non prolisse, stimolare l'immaginazione del lettore fino a farlo vedere quel che io volevo mostrare, non aver fretta di finire...ma non ci riuscivo, il senso di rigetto per quel che stavo facendo era troppo grande, per cui come sempre mi limitai a poche descrizioni e punti focali della narrazione, a scapito della bellezza complessiva.
Strana è la cosa, mi son sempre sentito un perfezionista, nell'aspetto e nel vestiario, nei modi e nelle misure, nel sesso e nell'amore. Ho costantemente una spiegazione per tutto ciò che mi riguarda, ogni mio singolo movimento ha uno scopo o un antiscopo ben definito, niente viene affidato al caso se non quando l'intenzione è quella.
Quindi perchè questo rigetto, questa repulsione per ciò che scrivo? Scrivendo questa domanda al momento non ho risposte, ma non credo nel "non lo so", e nell'autoanalisi del momento faremo ipotesi:
-latente voglia di apparire?
-narcisismo al negativo?
-eccessivo perfezionismo?
-insoddisfazione artistica?
-bassa autoconsiderazione di fronte a maggiori competenti quali Ary e Ferre?
-tutto assieme?

Scriviamo dunque quel per cui son nato:

RIGOR VIVIS

Lento e mellifluo lo scorrer di veleno
Nel calice e nelle membra
Torbida essenza, nerambrosia
Balsamo di issopo e melissa.
Mortal icore in mortal sangue
cali lenta la mannaia
crudel boia in giuoco perverso
suggi la vita, profumi di fata.

lunedì 20 settembre 2010

Fantasy/pulp n°1- Il mercato Efreet

Era una mattina come tante altre in quel buco di ufficio, ad aspettare che ci annunciassero il prossimo disastro. Ignus come al solito era nel camino a godersi la piacevolezza del braciere, confondendo il fumo della legna col suo, e io sdraiato sul divano a bere piscio di cammello tentando di farmi passare una sbronza con un'altra.
Ero già nel dormiveglia, e la mia mente vagava al giorno dell'esplosione, quando la mia manomissione al fuoco alchemico di mio padre aveva fatto saltare il laboratorio uccidendolo...era un peccato, davvero un peccato, era un gran bel laboratorio, ci avrei potuto fabbricare tutto il sangue di drago che volevo. Pazienza tanto..ormai...non...
SBAAAAAAAM! La porta sbattè come colpita da un ariete, facendomi quasi cadere dal divano, mentre nella stanza entrava Maitor, quello stramaledetto pezzo di latta parlante, seguito da Ieleen la tirasberle e quel faccia di cazzo di Creed. Li avrei uccisi tutti, lo giuro, torturati prima, ma mi sarei tenuto Creed per ultimo, da quando mi ha ucciso ho da fare un disorso rovente con lui.
-Cazzo Maitor! Per poco non crepo di spavento!- urlai a squarciagola - ma che cazzo vuoi fare abbattere questa merda di posto?!
-Ho solo aperto la porta- mormorò lui con la sua solita voce priva di espressione.
-Dai tirati su!- esclamò Ieleen, facendo ruotare gli occhi e lasciandomi osservare in tutto il suo splendore il marchio che portava sul volto -oggi ci han dato mezza giornata libera, e c'è il mercato Efreet.
Il mercato Efreet, per chi non lo sapesse (pfui contadinotti) è un mercato allestito dagli Efreet provenienti dal piano del Fuoco in congiunzione con Sharn, e lì si possono trovare le più esotiche rarità per ricchi spendaccioni o intenditori della piromanzia, come il sottoscritto.
Mi alzai svelto dal divano, trangugiai quel che rimaneva del piscio di cammello, chiamai Ignus e uscii dalla guarnigione. Subito un caldo degno dell'inferno ci accolse, frutto della congiunzione, ma mentre gli altri crepavano di stenti feci un fugace gesto con le dita, e un lieve scudo contro il caldo mi avvolse, permettendomi di bearmi degli sventurati miei compagni.
Giungemmo con una carrozza volante al mercato, e una meravigliosa tinta rosso-grigio ci balzò agli occhi, dipinta da interi banchetti dalle stoffe accese sorretti da impalcature di ferro battuto. Fu magnifico girare in quel groviglio di esseri esotici, e altresì gli acquisti furono splendidi, mi sentivo in fondo come un bambino con una torcia in mano.
D'improvviso delle grida, non troppo distanti, e una folla in fuga inseguita dai farneticanti, aberrazioni umanoidi striscianti in grado di mutare con un morso in uno di loro. Lo sapevo che non era giornata.
Solo alcune guardie efreet, e noi, la Mano Sinistra di Sharn. Rapida Ieleen scatto in avanti, e colpì uno di essi con un colpo in volto. Dietro di lei Maitor estrasse il gigantesco spadone e si proiettò al suo fianco a difenderla. Creed iniziò a lanciare coltelli, mentre le guardie efreet tenevano occupati i mostri. Un semplice sortilegio a me toccava, e le mani si illuminarono di una bianca luce, facendo fuoriuscire da essa dardi di energia, potenti, infallibili.
Numerosi caddero i farneticanti, seguiti da altrettanti efreet, ma la battaglia imperversava e non notammo il dramma che accadeva alle nostre spalle. Con la coda dell'occhio lo percepimmo quando era già troppo tardi.
I farneticanti avevano attaccato in massa un minotauro, e l'avevano morso. Osservammo la trasformazione, il pelo cadere assieme alle corna e i denti, sostituiti questi ultimi da spine lunghe una spanna, e uno strano organo congiungersi tra il mento e lo sterno. Ma furono le bocche a farci sobbalzare maggiormente, decine di bocche d'infante aprirsi sulla sua pelle e cominciare a farneticare un verso alieno. Quando urlò, il terrore ci pervase. Lasciando perdere tutti gli altri, la Mano Sinistra si precipitò verso la nuova minaccia. Primo giunse Maitor, che roteò la spada dall'alto in basso, colpendo la bestia mentre lo stava caricando, e ferendola al collo mentre questa lo gettava a terra. Ieleen approfittò del colpo, dirigendo i suoi pugni migliori contro la schiena del mostro. Eppur sembrava che tali colpi non facessero effetto, e che la bestia li stesse rimarginando. Fu allora che io e Creed ci guardammo, sapevamo cosa dovevamo fare. Il minotauro scattò contro i nostri compagni, ferendoli gravemente, ormai erano in sua balia. Sangue scendeva dalla mano di Creed, segno che il Marchio di Khyber che aveva sul braccio e sul collo si stava attivando, mentre tra le mie mani ardeva la sua stessa magia, alimentata però da spirito e non da sangue. Gemelli furono i nostri gesti, quando spingemmo con foga il nostro potere verso la bestia, trapassandone le carni con roventi raggi paralleli, facendola crollare per terra esanime. Sapevamo che non era così facile uccidere quelle creature, che si sarebbero presto rialzate, per cui provvedemmo con lame di magico byeshk a terminare la faccenda.
Fu allora che Creed scattò verso alcuni farneticanti in fuga, che stavano scendendo dal muro oltre il parapetto come ragni in fuga da un pericolo, urlandomi -Kardas! Andiamo!
Sapevo cosa gli permetteva di fare il marchio, conoscevo quella magia, e la controllavo parimenti a lui, per cui a mia volta scattai verso la balconata. Come lui, mi diedi lo slancio spingendomi con un piede sulla balaustra, e saltai verso ciò che per qualsiasi altro essere sarebbe stato morte certa. La torre su cui ci trovavamo era alta circa 30 metri, e se avessi sbagliato l'incantesimo non ci sarebbe stato tempo per ritentare. Per poco non sbagliai, stretto dalla morsa dell'adrenalina, ma l'incantesimo funzionò, e atterrai in piedi di fianco a Creed con una grazia felina.
Sapevo già come agire, ed ero spronato a dimostrare al ladruncolo al mio fianco cosa davvero fosse la magia. Ruotai sul tallone destro, trovandomi di fronte la parete della torre ove i farneticanti scendevano, e pensai a mio padre, il modo in cui l'uccisi, e i suoi insegnamenti fluirono attraverso di me come se nemmeno faticassi a invocarli. Non feci come al solito, una fugace formula, ma urlai le parole giuste con tutto il fiato che avevo, e i miei occhi si illuminarono di una luce rossa mentre le mani emanavano fiamme arcane. Congiunsi le mani, e feci convergere il fuoco in una singola sfera mortale, dando fondo alle mie ultime forze per scagliarla verso la torre. Il colpo partì rinculando, e sfrecciò verso le aberrazioni esplodendo fra di loro e disintegrandole. Caddero come lapilli in un incendio i loro pezzi, così potenti in vita così eterei da morti.

sabato 11 settembre 2010

The Lady Wore Black



La vidi in lontananza, ove il mare si univa alla terra. Di nero era vestita, e corvina era la sua chioma, così in contrasto con la cerulea pelle da renderla spettrale. Stava seduta su una roccia muschiosa, fondendosi con l'ombra di un pioppo ormai sfiorito.
Il gelo su quella scogliera penetrava i vestiti e le ossa, ma un antico richiamo mi impediva di tornare sui miei passi, e anzi mi spingeva a proseguire verso l'orlo del baratro. Quando fui di fianco a lei, un'improvvisa vertigine mi colse nel guardare l'oceano sotto di me, e mi sbalzai indietro per non cadere, finendo inevitabilmente disteso sulla roccia ove lei poggiava. Per la prima volta la vidi in volto, e mi stupii nel constatare che in tutta la sua umanità era completamente irreale, quelle iridi grigie come il cielo, e le labbra rosse come il sangue.
Mi sfiorò il volto, e forse per l'intorpidimento dovuto al vento non capii se la sua mano era calda o gelida, ma presto compresi che quel seno coperto da raso nero non aveva fremito di vita sotto di se.
Mi sentivo in balia di quello sguardo, ipnotico e allo stesso tempo terrificante, ma le chiesi chi fosse.
-Chi vorresti che io sia marinaio?
-Signora, vi state sbagliando, non ho mai solcato mare o fiume.
-Voi uomini siete tutti marinai, solcate le acque della vita, e vi nutrite dei suoi frutti.
-Perchè sono qui?
-Quante volte mi hai cercato, quante volte hai bramato il mio sopraggiungere...
-Ma io non vi conosco.
-Non ancora, sebbene a volte io ti abbia notato, ma presto...
-Cosa pretendete da me?
-Non ho mai preteso nulla da nessuno, ho preso quando l'ora lo richiedeva, e nulla più. Dimmi, tu conosci l'amore?
-Lo conobbi, e vi rinunciai.
-Perchè?
-Non credo di esser abbastanza vivo per poterne avere e donare.
-Io non ho mai amato, gli uomini mi temono...ma non tu, e non lo comprendo.
-Neanch'io lo comprendo, ogni cosa è ciò che è e basta.
-Rimani qui con me, se hai del tempo da donarmi.
-Vi ho già promesso il mio tempo tanto tempo fa.
E giacquero sul muschio, il misero uomo e l'unica amante che gli fu sempre fedele.

mercoledì 8 settembre 2010

Speranza, roba da umani

In qualche film probabilmente si è detto che ciò che rende tali gli umani è la speranza, quell'appiglio iconico tale da far perdurare nei propri intendi bramando un buon fine di essi.
In fondo non è qualcosa di così diverso dall'ambizione, sebbene piuttosto più scialba, in quanto l'ambizione fa leva sull'ego di sè, la speranza su fattori esterni non tangibili.
Poco credibile è la speranza, simile alla religione è pensare che un fattore esterno quale il caso, la fortuna, dio, ecc possa effettivamente influire in un qualunque risultato (sebbene in qualche modo invece agisca la Legge di Murphy).
Nascono quindi raffigurazioni autoprodotte, voli pindarici di misteriose forze mutanti che senza scopo dovrebbero invertire il corso del divenire al fine di migliorare una situazione, che illudono il credente portandolo all'avventurarsi in una oltrerealtà (e non superrealtà, traduttori bastardi) di artefatti teatrali.
Cosa sei dunque uomo, se non un tossicodipendente di speranza?